mercoledì 10 settembre 2008

L'obiezione non può essere gratis

di CARLO CLERICETTI (su www.repubblica.it)

L'OBIEZIONE di coscienza è un diritto? Possibile che in metà degli ospedali romani sia impossibile ottenere la "pillola del giorno dopo", come è risultato dall'inchiesta dei radicali?
La risposta è tutt'altro che semplice. Bisogna ricordare, innanzi tutto, i netti pronunciamenti del Papa e di altri organismi ecclesiali. La dichiarazione finale della Pontificia accademia pro vita al congresso internazionale del 15 marzo 2007 recita: "... acquista maggiore rilievo l'esercizio doveroso, di una "coraggiosa obiezione di coscienza", da parte di medici, infermieri, farmacisti e personale amministrativo, giudici e parlamentari, ed altre figure professionali direttamente coinvolte nella tutela della vita umana individuale, laddove le norme legislative prevedessero azioni che la mettono in pericolo". Niente interruzioni di gravidanza, niente "pillola del giorno dopo" e forse niente pillole di nessun genere, limitazioni alla ricerca scientifica decise dalle gerarchie vaticane, e così via.
Non è detto, naturalmente, che tutte queste cose scomparirebbero dalla vita quotidiana: i cattolici, in fondo, sono una minoranza, e quelli assolutamente "obbedienti" ancora di meno. Ma certo, se si diffondesse in tutti questi campi l'obiezione di coscienza, coinvolgendo un numero ragguardevole di persone, ne risulterebbero inceppati molti meccanismi della vita sociale. Di più: in certi casi l'obiezione di coscienza può anche essere "conveniente", può essere utile ad evitare lavori e situazioni considerati di scarso ritorno o poco gratificanti.
Le interruzioni di gravidanza, per esempio, dal punto di vista "tecnico" per un chirurgo sono una scocciatura: interventi che non arricchiscono professionalmente, non fanno fare carriera, un po' come le appendiciti, insomma. Se una bella fetta di medici si tira fuori, dato che il servizio va garantito il lavoro ricade tutto sui non obiettori, penalizzandoli. Ed esempi analoghi si potrebbero trovare per gli altri possibili casi.
In una società democratica e liberale, però, l'obiezione di coscienza deve essere rispettata. La prevede la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo ed il principio è stato poi ribadito dalla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, dal Consiglio d'Europa e dal Parlamento Europeo. Del resto, le leggi italiane già la prevedono in alcuni casi specifici: per il servizio militare (quando esisteva la leva obbligatoria), per l'interruzione di gravidanza, per la sperimentazione su animali.
Il problema è di non farla diventare incontrollabile, perché una sua applicazione non regolata non potrebbe che ledere i diritti di chi obiettore non è e si aspetta di poter ottenere tutto quello che le leggi consentono. Una minorenne che si rivolge al giudice tutelare per l'autorizzazione all'interruzione di gravidanza, come previsto dalla legge, deve rischiare di incappare in un giudice obiettore? Un malato grave che potrebbe forse guarire grazie alle cellule staminali deve interrogare chi lo cura per accertarsi che la sua coscienza non escluda a priori quel tipo di intervento?
Un malato terminale che esercita il suo diritto costituzionale di rifiutare ulteriori trattamenti medici, deve sperare di non trovarsi di fronte cattolici osservanti che respingono in teoria l'accanimento terapeutico, ma solo in teoria, come si è visto dal caso Welby e ora in quello di Eluana Englaro?
Una regola generale dovrebbe essere che l'obiettore non si metta in situazioni che lo porterebbero a collidere con le sue convinzioni. Gli obiettori alla leva rifiutavano di portare le armi, ma non pretendevano di diventare ufficiali dell'esercito essendo allo stesso tempo esentati da ogni eventuale combattimento. E' quello che fanno, invece, chirurghi, ginecologi, anestesisti e infermieri che lavorano negli ospedali pubblici.
Negli ospedali pubblici si fanno gli aborti, come prevede la legge: chi rifiuta di essere coinvolto in questi interventi, lavori negli ospedali privati, o faccia la libera professione. L'obiezione di coscienza è stata giustamente introdotta perché interveniva su una situazione già in essere, ma avrebbe dovuto essere una norma transitoria, e ora andrebbe abolita: negli ospedali pubblici non dovrebbero più essere assunti obiettori.
Non sempre, però, è possibile separare da strutture complesse, che svolgono numerose funzioni, chi fa obiezione di coscienza su punti specifici. In questi casi ci si dovrebbe comportare come si fece per l'obiezione alla leva. Il diritto viene - giustamente - riconosciuto, ma è anche necessario salvaguardarsi nei confronti di scelte opportunistiche. Chi rifiutava la divisa era tenuto a prestare il servizio civile sostitutivo, e questo servizio era di durata maggiore: due anni invece che 18 mesi. Bene, in tutti casi di obiezione di coscienza bisognerebbe fare nello stesso modo: per esempio, chi la fa è tenuto a prestare alcune ore aggiuntive a settimana di lavoro non retribuito.
Le norme non devono essere tanto pesanti da essere punitive, ma devono anche essere sufficienti a scoraggiare gli opportunisti. Insomma: è giusto che la coscienza individuale prevalga anche di fronte alla legge; ma è altrettanto giusto che la società sia garantita rispetto ai furbi e, anche se in piccola parte, indennizzata per una scelta che è diversa da quella della maggioranza dei cittadini e crea comunque qualche problema.
Che cosa diciamo ai Testimoni di Geova che rifiutano la trasfusione per un figlio? Che la loro coscienza vale meno di quella dei cattolici? E ai musulmani che non vogliono che la moglie sia visitata da un medico maschio? I casi sono ormai molto numerosi, e probabilmente sempre di più se ne porranno. Ci sarà lavoro per sociologi e politici. Che però dovrebbero adottare, per tutti i casi, questo principio elementare: l'obiezione di coscienza, se è seria, va rispettata; ma non può essere gratis.
La Repubblica, 10 settembre 2008

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