sabato 31 gennaio 2009

Rodaggio: i primi chilometri hanno bisogno di strade storte...

Prescrive il Libretto Uso e Manutenzione della multistrada: "...Nelle prime ore di marcia del motociclo è consigliabile variare continuamente il carico ed il regime di giri del motore, pur rimanendo sempre entro il limite indicato. 
A questo scopo risultano adattissime le strade ricche di curve e magari i tratti di strada collinari, dove il motore, i freni e le sospensioni vengono sottoposti ad un rodaggio efficace..." 
E allora, nonostante il freddo, il ghiaccio ed il sale, ho pensato che la cosa principale fosse rodare il motore: dopo il caffè al Muraglione sono sceso fino a Dicomano, poi a Scopeti ho svoltato per Borselli (passando quindi dai vigneti di Pomino e di Rufina ...) e poi ho raggiunto il Passo della Consuma (è lì la migliore Schiacciata ai funghi porcini del Mondo). Rientrando ripercorrendo lo stesso itinerario, visto che in questa stagione non è consigliabile affrontare il Passo della Calla in moto :)
...quanti sacrifici per il bene del Motore ;)







Gattostanco, 31 gennaio 2009

venerdì 23 gennaio 2009

Eutanasia del diritto: la vergogna italiana

La minacce di un ministro rendono inapplicabili il dettato della Costituzione ed una Sentenza della Cassazione... Sacconi come i bravi di Don Rodrigo... una VERGOGNA per il nostro Paese
Un ricatto. Un'intimidazione odiosa fondata sulla minaccia di togliere il denaro che dà lavoro almeno a 300 persone.
Un attentato al diritto: c'è una sentenza ma alla politica - a questo governo, a questo ministro - non interessa. Decide lui, è lui che ha i soldi e il potere: il resto non conta.
Provate a spiegare cosa sia cambiato per Eluana Englaro e per la sua famiglia nelle ultime ore.
Provate a dirlo a un adolescente che ve ne chiede conto, a uno straniero di passaggio in Italia. L'ho fatto, ieri, con entrambi.
Perché la clinica non vuole più ospitare Eluana?, mi ha domandato mio figlio liceale. Perché ha paura che il ministro tolga il lavoro a trecento persone, se lo fa.
Dice proprio così il comunicato «il ministro potrebbe assumere provvedimenti che metterebbero a repentaglio il posto di lavoro di più di trecento persone». Ma cosa c'entra il ministro con la clinica, non è privata? C'entra, perché sì è una clinica privatama vive della convenzione con la Regione: per ogni paziente che ospita riceve una quota di denaro pubblico. Se non ricevesse più quel denaro non ce la farebbe a sostenere le spese da sola e dovrebbe chiudere.
E perché il ministro non vuole che ospiti Eluana? Perché quella clinica aveva dato la disponibilità ad applicare la sentenza che dice che Eluana e la sua famiglia hanno il diritto, la libertà di decidere se e come e quanto accanirsi a tenerla in vita.
La famiglia di Eluana ha chiesto di interrompere l'assistenza, dopo tanti anni di quella specie di vita e senza che si siano speranze. La giustizia ha detto che possono farlo.
E perché - domanda ancora il ragazzo - il ministro non vuole, allora?
Perché il ministro non è d'accordo con la giustizia. Dunque dice: se non fate come voglio io vi tolgo i soldi che vi consentono di lavorare.
Ecco, è questo. È nelle domande scarne di un sedicenne il senso di quello che è accaduto in queste ore. (...)
Ignazio Marino, medico e senatore, dice che «Sacconi il ministro minaccia come i "bravi" e che questo è un pericolosissimo precedente».
Conchita De Gregorio, 17 gennaio 2009
 
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(...)La clinica convenzionata Città di Udine ha comunicato venerdì scorso che non potrà effettuare l'intervento richiesto dalla famiglia Englaro e autorizzato dalla Cassazione, per porre fine alla vita vegetativa di Eluana a diciotto anni di distanza dal suo inizio.
La suddetta clinica era disposta ad eseguire ciò che la famiglia voleva e che la magistratura aveva autorizzato, ma ne è stata impedita dall'intervento del ministro Sacconi il quale ha minacciato di far cessare i rimborsi dovuti alla clinica per le degenze dei suoi clienti, costringendola quindi a sospendere la sua attività.
La decisione d'un ministro ha cioè la forza di impedire che una sentenza abbia corso. Si tratta d'un fatto di estrema gravità politica e costituzionale, di un precedente che mette a rischio la divisione dei poteri e la natura stessa della democrazia.
Poiché si invoca da molte parti una riforma della giustizia condivisa con l'opposizione, a nostro giudizio si è ora creata una questione preliminare: non si può procedere ad alcuna riforma condivisa se non viene immediatamente sanata una ferita così profonda.
Se la volontà politica di un ministro o anche di un intero governo può impedire l'esecuzione di una sentenza definitiva vuol dire che lo Stato di diritto non esiste più  e quindi non esiste più un ordine giudiziario indipendente.
Non c'è altro da aggiungere per commentare una sopraffazione così palese e una violazione così patente dell'ordinamento costituzionale.
Eugenio Scalfari, 18 gennaio 2009 

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Grazie, Presidente Bresso!

Pubblico un articolo tratto da La Repubblica del 23 gennaio 2009. Il tema è sempre quello: le vergognose ingerenze della chiesa cattolica. Una chiesa cattolica ormai senza più freni, senza inibizione nè pudore, che affonda i suoi artigli nel ventre molle di una classe politica divisa nel centro sinistra e prona, vergognosamente supina nel centro destra (nel quale le voci dei laici non trovano neppure più un francobollo di carta stampata... che tristezza:
"I credenti non possono essere richiamati con i diktat. Penso che sia un errore per la Chiesa entrare in questo modo, a piedi giunti, su una materia così delicata, su cui milioni di cattolici in tutto il mondo ogni giorno prendono decisioni assolutamente simili a quelle della famiglia Englaro, e lo fanno con sofferenza e difficoltà. Questo la Chiesa lo sa, e ci sono tanti medici cattolici che ogni giorno devono prendere decisioni difficili, e ne sono dilaniati. Occorre delicatezza negli interventi. Stiamo rischiando di perdere il carattere laico del nostro Stato con polemiche di questo genere".
E' la dura risposta di Mercedes Bresso, presidente della regione Piemonte, alle critiche lanciate contro di lei, in un'intervista a Repubblica, dall'arcivescovo di Torino, il cardinale Severino Poletto. Mercedes Bresso - governatore del Pd - è intervenuta in diretta a Repubblica Tv, questa mattina.
"A Poletto, che richiama i medici cattolici alla obiezione di coscienza, chiedo: quale è la differenza tra l'Italia di oggi e gli stati clericali, come quello degli Ayatollah, dove viene ingiunto a tutti coloro che credono di assumere un certo comportamento? Una cosa è una raccomandazione, l'espressione di una posizione che io considero assolutamente legittima, Un'altra cosa è l'ingiunzione a persone che sono tenute al rispetto delle leggi del proprio Stato che fino a prova contraria è ancora uno Stato laico".
Perché la presidente Bresso si è fatta avanti su una vicenda così difficile? "Io penso che ci sia un dovere delle strutture pubbliche di dare attuazione alla decisione della Cassazione, che peraltro è stata presa due volte perché c'era stato un annullamento per ragioni formali. Trattandosi di una questione molto delicata sul piano etico, è evidente che pur non esistendo nel nostro ordinamento l'obiezione di coscienza dei medici se non per la 194 esplicitamente indicata, è evidente che nessuno che non lo desiderasse sarà obbligato a intervenire in questo caso. Ricordo peraltro che medici cattolici e non cattolici, credenti e non credenti tutti i giorni prendono con le famiglie decisioni di questo tipo e non vedo che altro principio adottare se non quello che deriva dall'habeas corpus, fondante del diritto occidentale, cioè la decisione di una persona e di chi quella persona rappresenti quando questa non è più in grado di decidere".
"Già in passato come Regione Piemonte avevamo offerto la nostra disponibilità alla famiglia Englaro. E lo ribadisco: la circolare del ministero Sacconi non supera la legge, e l'interpretazione della legge non è compito degli organi esecutivi. E' inquietante che si pieghi la legge a una decisione politica. Se ci saranno dei problemi nell'applicare il protocollo, verranno affrontati, nel pieno rispetto delle regole, insieme alla famiglia. Sono preoccupata: vedo minacciato l'unico principio laico e di rispetto delle persone è quello dell'autodeterminazione. Per questo serve una legge sul testamento biologico. La medicina permetterà tra pochi anni di mantenere in vita chiunque, e allora cosa faremo? Eluana è una persona in stato vegetativo permanente, non una disabile".
"Io non ho imposto niente a nessuno - insiste la Bresso - Se ci saranno dei contatti, saranno direttamente tra la famiglia Englaro e le nostre strutture sanitarie. Chi invece ha imposto qualcosa è il presidente della regione Lombardia, Formigoni, che ha vietato ogni intervento su Eluana nella sua regione". Quali strutture sarebbero pronte? "Se anche lo sapessi, non lo direi, per questioni di riservatezza. La famiglia ha scelto una via difficile, di legalità, esponendosi a critiche e a rifiuti. Ora ha diritto alla riservatezza".
In trasmissione, contro la scelta della Bresso, interviene anche Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare del Pdl con delega alle questioni bioetiche. "Temo che ci saranno delle difficoltà forti ad applicare quella sentenza. Ci sono dei problemi tra la sanità pubblica e il modo in cui è stato fatto quel decreto. Non esiste un livello di assistenza - ha spiegato la Roccella - in cui inserire un protocollo di quel genere. E' difficile inserire un protocollo per portare una malata, che può vivere ancora molti anni e che viene curata, allo stadio terminale e farla morire. Perché questo si chiede. Si chiede che si prenda un malato e invece di curarlo lo si porti alla morte. Qualsiasi struttura sanitaria pubblica che vorrà provare a fare questo scoprirà che ci sono dei problemi". "Siamo di fronte ad una disabile - ha concluso Eugenia Roccella - e non ad una persona in stato vegetativo permanente".

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Ho pubblicato queste righe di Conchita De Gregorio e di Eugenio Scalfari perchè le condivido in pieno.
Credo che quest'Italia, governata da piccoli politici così poco rispettosi delle Regole di convivenza civile, delle Leggi e dei Diritti dei cittadini, ma così pronti a piegarsi alle richieste di quella lobby politico-finanziaria che è il Vaticano, sia veramente giunta al bivio: quando non c'è più laicità, non c'è più rispetto della Legge, non c'è più rispetto delle Istituzioni, è a rischio la Democrazia.
Quella vera, non quella finta dei reality e dei sondaggi.
L'articolo pubblicato su Repubblica sulla risposta civile e laica di Mercedes Bresso alle solite ingerenze del cardinale Poletto, mi pare quantomeno doveroso.

Gattostanco, 23 gennaio 2009

Roberto Saviano: 'La Rivoluzione di un padre'

Su La Repubblica di oggi è pubblicato uno splendido articolo di Roberto Saviano, intitolato 'La rivoluzione di un padre'. L'intelligenza di Saviano, a mio avviso, è quella di farci riflettere non solo sul caso specifico di Eluana Englaro e delle ingerenze clericali sulal nostra vita e sui nostri diritti, ma anche su come, in Itlaia, la mancanza della cultura dei diritti manchi ad ogni livello e i ogni campo, trasformandosi in un vero e proprio "male nazionale". E' per questo che ve lo ripropongo:
BEPPINO Englaro, il papà di Eluana, sta dando forza e senso alle istituzioni italiane e alla possibilità che un cittadino del nostro Paese, nonostante tutto, possa ancora sperare nelle leggi e nella giustizia. Ciò credo debba essere evidente anche per chi non accetta di voler sospendere uno stato vegetativo permanente e ritiene che ogni forma di vita, anche la più inerte, debba essere tutelata. Mi sono chiesto perché Beppino Englaro, come qualcuno del resto gli aveva suggerito, non avesse ritenuto opportuno risolvere tutto "all'italiana". Molti negli ospedali sussurrano: "Perché farne una battaglia simbolica? La portava in Olanda e tutto si risolveva".
Altri ancora consigliavano il solito metodo silenzioso, due carte da cento euro a un'infermiera esperta e tutto si risolveva subito e in silenzio. Come nel film "Le invasioni barbariche", dove un professore canadese ormai malato terminale e in preda a feroci dolori si raccoglie con amici e familiari in una casa su un lago e grazie al sostegno economico del figlio e a una brava infermiera pratica clandestinamente l'eutanasia.
Mi chiedo perché e con quale spirito accetta tutto questo clamore. Perché non prende esempio da chi silenziosamente emigra alla ricerca della felicità, sempre che le proprie finanze glielo permettano. Alla ricerca di tecniche di fecondazione in Italia proibite o alla ricerca di una fine dignitosa. Con l'amara consapevolezza che oramai non si emigra dall'Italia solo per trovare lavoro, ma anche per nascere e per morire.
Nella vicenda Englaro ritornano sotto veste nuova quelle formule lontane e polverose che ci ripetevano all'università durante le lezioni di filosofia. Il principio kantiano: "Agisci in modo che tu possa volere che la massima delle tue azioni divenga universale" si fa carne e sudore. E forse solo in questa circostanza riesci a spiegarti la storia di Socrate e capisci solo ora dopo averla ascoltata migliaia di volte perché ha bevuto la cicuta e non è scappato.
Tutto questo ritorna attuale e risulta evidente che quel voler restare, quella via di fuga ignorata, anzi aborrita è molto più di una campagna a favore di una singola morte dignitosa, è una battaglia in difesa della vita di tutti.
E per questo Beppino, nonostante il suo dramma privato, ha dovuto subire l'accusa di essere un padre che vuole togliere acqua e cibo alla propria figlia, contro coloro che dileggiano la Suprema Corte e contro chi minaccia sanzioni e ritorsioni per le Regioni che accettino di accogliere la sua causa, nel pieno rispetto di una sentenza della Corte di cassazione.L'unica risposta che ho trovato a questa domanda, la più plausibile, è che la lotta quotidiana di Beppino Englaro non sia solo per Eluana, sua figlia, ma anche e soprattutto in difesa del Diritto, perché è chiaro che la vita del Diritto è diritto alla vita.
Beppino Englaro con la sua battaglia sta aprendo una nuova strada, sta dimostrando che in Italia si può e si deve restare utilizzando gli strumenti che la democrazia mette a disposizione. In Italia non esiste nulla di più rivoluzionario della certezza del Diritto.
E mi viene in mente che tutelare la certezza dei diritti, la certezza dei crediti, costituirebbe la stangata definitiva all'economia criminale.
Se fosse possibile, nella mia terra, rivolgersi a un tribunale per veder riconosciuto, in un tempo congruo, la fondatezza del proprio diritto, non si avvertirebbe certo il bisogno di ricorrere a soluzioni altre.
Beppino questo sta dimostrando al Paese. Non sarebbe necessario ricorrere al potere di dissuasione delle organizzazioni criminali, che al Sud hanno il monopolio, illegale, nel fruttuoso business del recupero crediti.
E a lui il merito di aver insegnato a questo Paese che è ancora possibile rivolgersi alle istituzioni e alla magistratura per vedere affermati i propri diritti in un momento di profonda e tangibile sfiducia. E nonostante tutte le traversie burocratiche, è lì a dimostrare che nel diritto deve esistere la possibilità di trovare una soluzione. Per una volta in Italia la coscienza e il diritto non emigrano.
Per una volta non si va via per ottenere qualcosa, o soltanto per chiederla. Per una volta non si cerca altrove di essere ascoltati, qualsiasi cittadino italiano, comunque la pensi non può non considerare Beppino Englaro un uomo che sta restituendo al nostro Paese quella dignità che spesso noi stessi gli togliamo.
Immagino che Beppino Englaro, guardando la sua Eluana, sappia che il dolore di sua figlia è il dolore di ogni singolo individuo che lotta per l'affermazione dei propri diritti. Se avesse agito in silenzio, trovando scorciatoie a lui sarebbe rimasto forse solo il suo dolore.
Rivolgendosi al diritto, combattendo all'interno delle istituzioni e con le istituzioni, chiedendo che la sentenza della Suprema Corte sia rispettata, ha fatto sì, invece, che il dolore per una figlia in coma da 17 anni, smettesse di essere un dolore privato e diventasse anche il mio, il nostro, dolore. Ha fatto riscoprire una delle meraviglie dimenticate del principio democratico, l'empatia.
Quando il dolore di uno è il dolore di tutti. E così il diritto di uno diviene il diritto di tutti.
(Roberto Saviano, da "La Repubblica" del 23 gennaio 2009)

mercoledì 21 gennaio 2009

Una speranza nuova per tutto l'Occidente

Ho ascoltato con attenzione il discorso del 44° Presidente degli Stati Uniti d'America. Con attenzione ed anche coinvolgimento, perchè in fondo l'America è, da sempre, parte fondamentale di quell'Occidente democratico, civile e moderno che tutti noi dovremmo voler promuovere e rafforzare.
Ho ascoltato parole nuove, che purtroppo erano state dimenticate e nascoste durante gli utlimi otto anni: coinvolgimento, dialogo, responsabilità, solidarietà.
Ho ascoltato un politico che non fa promesse, non racconta barzellette, non fa gag da intrattenitore.
Gli americani hanno un nuovo motivo di orgoglio, possono ricostruire una credibilità ed un rispetto per loro e per tutto l'Occidente. Un po' li invidio. Ora auguriamoci tutti che il nuovo Presidente degli Stati Uniti d'America ed il suo staff riescano ad operare insieme all'Europa per dare una nuova direzione alla politica mondiale.
Questo è il discorso d'insediamento di Barak Obama:
Rimettiamoci al lavoro insiemeper ricostruire una grande Americadi BARACK OBAMA
OGGI mi trovo di fronte a voi, umile per il compito che ci aspetta, grato per la fiducia che mi avete accordato, cosciente dei sacrifici compiuti dai nostri avi. Ringrazio il presidente Bush per il servizio reso alla nostra nazione, e per la generosità e la cooperazione che ha mostrato durante questa transizione.
Quarantaquattro americani hanno pronunciato il giuramento presidenziale. Queste parole sono risuonate in tempi di alte maree di prosperità e di calme acque di pace. Ma spesso il giuramento è stato pronunciato nel mezzo di nubi tempestose e di uragani violenti. In quei momenti, l'America è andata avanti non solo grazie alla bravura o alla capacità visionaria di coloro che ricoprivano gli incarichi più alti, ma grazie al fatto che Noi, il Popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati e alle nostre carte fondamentali. Così è stato finora. Così deve essere per questa generazione di americani.
E' ormai ben chiaro che ci troviamo nel mezzo di una crisi. La nostra nazione è in guerra contro una rete di violenza e di odio che arriva lontano. La nostra economia si è fortemente indebolita, conseguenza della grettezza e dell'irresponsabilità di alcuni, ma anche della nostra collettiva incapacità di compiere scelte difficili e preparare la nostra nazione per una nuova era. C'è chi ha perso la casa. Sono stati cancellati posti di lavoro. Imprese sono sparite. Il nostro servizio sanitario è troppo costoso. Le nostre scuole perdono troppi giovani. E ogni giorno porta nuove prove del fatto che il modo in cui usiamo le risorse energetiche rafforza i nostri avversari e minaccia il nostro pianeta.Questi sono gli indicatori della crisi, soggetti ad analisi statistiche e dati. Meno misurabile ma non meno profonda invece è la perdita di fiducia che attraversa la nostra terra - un timore fastidioso che il declino americano sia inevitabile e la prossima generazione debba avere aspettative più basse. Oggi vi dico che le sfide che abbiamo di fronte sono reali. Sono serie e sono numerose. Affrontarle non sarà cosa facile né rapida. Ma America, sappilo: le affronteremo. Oggi siamo riuniti qui perché abbiamo scelto la speranza rispetto alla paura, l'unità degli intenti rispetto al conflitto e alla discordia. Oggi siamo qui per proclamare la fine delle recriminazioni meschine e delle false promesse, dei dogmi stanchi, che troppo a lungo hanno strangolato la nostra politica. Siamo ancora una nazione giovane, ma - come dicono le Scritture - è arrivato il momento di mettere da parte gli infantilismi. E' venuto il momento di riaffermare il nostro spirito tenace, di scegliere la nostra storia migliore, di portare avanti quel dono prezioso, l'idea nobile, passata di generazione in generazione: la promessa divina che tutti siamo uguali, tutti siamo liberi e tutti meritiamo una possibilità di perseguire la felicità in tutta la sua pienezza.
Nel riaffermare la grandezza della nostra nazione, ci rendiamo conto che la grandezza non è mai scontata. Bisogna guadagnarsela. Il nostro viaggio non è mai stato fatto di scorciatoie, non ci siamo mai accontentati. Non è mai stato un sentiero per incerti, per quelli che preferiscono il divertimento al lavoro, o che cercano solo i piaceri dei ricchi e la fama. Sono stati invece coloro che hanno saputo osare, che hanno agito, coloro che hanno creato cose - alcuni celebrati, ma più spesso uomini e donne rimasti oscuri nel loro lavoro, che hanno portato avanti il lungo, accidentato cammino verso la prosperità e la libertà. Per noi, hanno messo in valigia quel poco che possedevano e hanno attraversato gli oceani in cerca di una nuova vita. Per noi, hanno faticato in aziende che li sfruttavano e si sono stabiliti nell'Ovest. Hanno sopportato la frusta e arato la terra dura. Per noi, hanno combattuto e sono morti, in posti come Concord e Gettysburg; in Normandia e a Khe Sahn. Questi uomini e donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato finché le loro mani sono diventate ruvide per permettere a noi di vivere una vita migliore. Hanno visto nell'America qualcosa di più grande che una somma delle nostre ambizioni individuali; più grande di tutte le differenze di nascita, censo o fazione. Questo è il viaggio che continuiamo oggi.
Rimaniamo la nazione più prospera, più potente della Terra. I nostri lavoratori non sono meno produttivi rispetto a quando è cominciata la crisi. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri beni e servizi non meno necessari di quanto lo fossero la settimana scorsa, o il mese scorso o l'anno scorso. Le nostre capacità rimangono inalterate. Ma è di certo passato il tempo dell'immobilismo, della protezione di interessi ristretti e del rinvio di decisioni spiacevoli. A partire da oggi, dobbiamo rialzarci, toglierci di dosso la polvere, e ricominciare il lavoro della ricostruzione dell'America. Perché ovunque volgiamo lo sguardo, c'è lavoro da fare.
Lo stato dell'economia richiede un'azione, forte e rapida, e noi agiremo - non solo per creare nuovi posti di lavoro, ma per gettare le nuova fondamenta della crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche e le linee digitali che alimentano i nostri commerci e ci legano gli uni agli altri. Restituiremo alla scienza il suo giusto posto e maneggeremo le meraviglie della tecnologia in modo da risollevare la qualità dell'assistenza sanitaria e abbassarne i costi. Imbriglieremo il sole e i venti e il suolo per alimentare le nostre auto e mandare avanti le nostre fabbriche. E trasformeremo le nostre scuole, i college e le università per venire incontro alle esigenze dei tempi nuovi. Possiamo farcela. E lo faremo.
Ora, ci sono alcuni che contestano le dimensioni delle nostre ambizioni - pensando che il nostro sistema non può tollerare troppi grandi progetti. Costoro hanno corta memoria. Perché dimenticano quel che questo paese ha già fatto. Quel che uomini e donne possono ottenere quando l'immaginazione si unisce alla volontà comune, e la necessità al coraggio. Quel che i cinici non riescono a capire è che il terreno gli è scivolato sotto i piedi. Gli argomenti politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non sono più applicabili.
La domanda che formuliamo oggi non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funzioni o meno - se aiuti le famiglie a trovare un lavoro decentemente pagato, cure accessibili, una pensione degna. Laddove la risposta sia positiva, noi intendiamo andare avanti. Dove sia negativa, metteremo fine a quelle politiche. E coloro che gestiscono i soldi della collettività saranno chiamati a risponderne, affinché spendano in modo saggio, riformino le cattive abitudini, e facciano i loro affari alla luce del sole - perché solo allora potremo restaurare la vitale fiducia tra il popolo e il suo governo.
La questione di fronte a noi non è se il mercato sia una forza del bene o del male. Il suo potere di generare benessere ed espandere la libertà è rimasto intatto. Ma la crisi ci ricorda che senza un occhio rigoroso, il mercato può andare fuori controllo e la nazione non può prosperare a lungo quando il mercato favorisce solo i già ricchi. Il successo della nostra economia è sempre dipeso non solo dalle dimensioni del nostro Pil, ma dall'ampiezza della nostra prosperità, dalla nostra capacità di estendere le opportunità per tutti coloro che abbiano volontà - non per fare beneficenza ma perché è la strada più sicura per il nostro bene comune.
Quanto alla nostra difesa comune, noi respingiamo come falsa la scelta tra sicurezza e ideali. I nostri Padri Fondatori, messi di fronte a pericoli che noi a mala pena riusciamo a immaginare, hanno stilato una carta che garantisca l'autorità della legge e i diritti dell'individuo, una carta che si è espansa con il sangue delle generazioni. Quegli ideali illuminano ancora il mondo, e noi non vi rinunceremo in nome di qualche espediente.
E così, per tutti i popoli e i governi che ci guardano oggi, dalle più grandi capitali al piccolo villaggio dove è nato mio padre: sappiate che l'America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che sia alla ricerca di un futuro di pace e dignità, e che noi siamo pronti ad aprire la strada ancora una volta.
Ricordiamoci che le precedenti generazioni hanno sgominato il fascismo e il comunismo non solo con i missili e i carriarmati, ma con alleanze solide e convinzioni tenaci. Hanno capito che il nostro potere da solo non può proteggerci, né ci autorizza a fare come più ci aggrada. Al contrario, sapevano che il nostro potere cresce quanto più lo si usa con prudenza. La nostra sicurezza emana dalla giustezza della nostra causa, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità dell'umiltà e del ritegno. Noi siamo i custodi di questa eredità. Guidati ancora una volta dai principi, possiamo affrontare le nuove minacce che richiederanno sforzi ancora maggiori - una cooperazione e comprensione ancora maggiori tra le nazioni. Cominceremo a lasciare responsabilmente l'Iraq alla sua gente, e a forgiare una pace duramente guadagnata in Afghanistan. Con i vecchi amici e i vecchi nemici, lavoreremo senza sosta per diminuire la minaccia nucleare, e respingere lo spettro di un pianeta che si surriscalda. Non chiederemo scusa per il nostro stile di vita, né ci batteremo in sua difesa. E a coloro che cercano di raggiungere i propri obiettivi creando terrore e massacrando gli innocenti, noi diciamo adesso che il nostro spirito è più forte e non può essere infranto. Voi non ci sopravviverete, e noi vi sconfiggeremo. Perché noi sappiamo che il nostro retaggio "a patchwork" è una forza e non una debolezza.
Noi siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e induisti e non credenti.
Noi siamo formati da ciascun linguaggio e cultura disegnata in ogni angolo di questa Terra; e poiché abbiamo assaggiato l'amaro sapore della Guerra civile e della segregazione razziale e siamo emersi da quell'oscuro capitolo più forti e più uniti, noi non possiamo far altro che credere che i vecchi odi prima o poi passeranno, che le linee tribali saranno presto dissolte, che se il mondo si è rimpicciolito, la nostra comune umanità dovrà riscoprire se stessa; e che l'America deve giocare il suo ruolo nel far entrare il mondo in una nuova era di pace. Per il mondo musulmano noi indichiamo una nuova strada, basata sul reciproco interesse e sul mutuo rispetto.
A quei leader in giro per il mondo che cercano di fomentare conflitti o scaricano sull'Occidente i mali delle loro società - sappiate che i vostri popoli vi giudicheranno su quello che sapete costruire, non su quello che distruggete. A quelli che arrivano al potere attraverso la corruzione e la disonestà e mettendo a tacere il dissenso, sappiate che siete dalla parte sbagliata della Storia; ma che vi tenderemo la mano se sarete pronti ad aprire il vostro pugno. Alla gente delle nazioni povere, noi promettiamo di lavorare insieme per far fiorire le vostre campagne e per pulire i vostri corsi d'acqua; per nutrire i corpi e le menti affamate. E a quelle nazioni, come la nostra. che godono di una relativa ricchezza, noi diciamo che non si può più sopportare l'indifferenza verso chi soffre fuori dai nostri confini; né noi possiamo continuare a consumare le risorse del mondo senza considerare gli effetti. Perché il mondo è cambiato e noi dobbiamo cambiare con esso.
Se consideriamo la strada che si apre davanti a noi, noi dobbiamo ricordare con umile gratitudine quegli americani coraggiosi che, proprio in queste ore, controllano lontani deserti e montagne. Essi hanno qualcosa da dirci oggi, proprio come gli eroi caduti che giacciono ad Arlington mormorano attraverso il tempo. Noi li onoriamo non solo perché sono i guardiani della nostra libertà, ma perché essi incarnano lo spirito di servizio: una volontà di trovare significato in qualcosa più grande di loro.
In questo momento - un momento che definirà una generazione - è precisamente questo lo spirito che deve abitare in tutti noi. Per tanto che un governo possa e debba fare, alla fine è sulla fede e la determinazione del popolo americano che questa nazione si fonda.
E' la gentilezza nell'accogliere uno straniero quando gli argini si rompono, la generosità dei lavoratori che preferiscono tagliare il proprio orario di lavoro piuttosto che vedere un amico perdere il posto, che ci hanno guidato nei nostri momenti più oscuri. E' il coraggio dei vigili del fuoco nel precipitarsi in una scala invasa dal fumo, ma anche la volontà di un genitore di nutrire il proprio figlio, che alla fine decidono del nostro destino.
Forse le nostre sfide sono nuove. Gli strumenti con cui le affrontiamo forse sono nuovi. Ma i valori da cui dipende il nostro successo - lavoro duro e onestà, coraggio e fair play, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo - tutto questo è vecchio. Sono cose vere. Sono state la forza tranquilla del progresso nel corso di tutta la nostra storia. Quel che è necessario ora è un ritorno a queste verità. Quel che ci viene chiesto è una nuova era di responsabilità - il riconoscimento, da parte di ogni americano, che abbiamo un dovere verso noi stessi, la nostra nazione, il mondo, doveri che non dobbiamo accettare mugugnando ma abbracciare con gioia, fermi nella consapevolezza che non c'è nulla di più soddisfacente per lo spirito, così importante per la definizione del carattere, che darsi completamente per una causa difficile. Questo è il prezzo e la promessa della cittadinanza.
Questa è la fonte della nostra fiducia - la consapevolezza che Dio ci ha chiamato a forgiare un destino incerto. Questo è il significato della nostra libertà e del nostro credo - perché uomini, donne e bambini di ogni razza e di ogni fede possono unirsi nella festa in questo Mall magnifico, e perché un uomo il cui padre meno di sessanta anni fa non avrebbe neanche potuto essere servito in un ristorante ora può trovarsi di fronte a voi per pronunciare il giuramento più sacro di tutti.
Perciò diamo a questa giornata il segno della memoria, di chi siamo e di quanta strada abbiamo fatto. Nell'anno in cui l'America è nata, nel più freddo dei mesi, una piccola banda di patrioti rannicchiati intorno a falò morenti sulle rive di un fiume ghiacciato. La capitale era stata abbandonata. Il nemico avanzava. La neve era macchiata di sangue. Nel momento in cui l'esito della nostra rivoluzione era in dubbio come non mai, il padre della nostra nazione ordinò che si leggessero queste parole al popolo: "Che si dica al futuro del mondo... che nel profondo dell'inverno, quando possono sopravvivere solo la speranza e la virtù... Che la città e la campagna, allarmate da un pericolo comune, si sono unite per affrontarlo".
America. Di fronte ai nostri pericoli comuni, in questo inverno dei nostri stenti, ricordiamo queste parole senza tempo. Con speranza e virtù, affrontiamo con coraggio le correnti ghiacciate, e sopportiamo quel che le tempeste ci porteranno.
Facciamo sì che i figli dei nostri figli dicano che quando siamo stati messi alla prova non abbiamo permesso che questo viaggio finisse, che non abbiamo voltato le spalle e non siamo caduti. E con gli occhi fissi sull'orizzonte e la grazia di Dio su di noi, abbiamo portato avanti il grande dono della libertà e l'abbiamo consegnato intatto alle generazioni future.
(20 gennaio 2009)

venerdì 16 gennaio 2009

VERGOGNA!

Contrordine: nessun autobus porterà sulle fiancate i manifesti della campagna a favore dell’ateismo. La concessionaria degli spazi pubblicitari della società di trasporti genovese, la IGP Decaux, ha deciso di non concedere lo spazio alla Uaar e allo slogan “La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno”, annunciato nei giorni scorsi. Gli atei italiani attendono ancora le motivazioni.
«Biancheria intima e villaggi vacanze sì, ma guai a chiedere uno spazio pubblicitario e a usarlo per dire che Dio non esiste. - dichiara Raffaele Càrcano, segretario generale della Uaar - Sembra che in questo paese non ci sia spazio per dichiararsi atei, che sia qualcosa di cui parlare con vergogna, o non parlare affatto, pena la censura. Alla IGP vorremmo chiedere se direbbero davvero di no a uno slogan che sostiene che Dio esiste».
Campagne simili sono state lanciate a Londra, a Barcellona, a Washington. Ovunque hanno scatenato ovvie polemiche, ma a Genova le autorità cittadine si sono spese pubblicamente “a difesa della democrazia, della laicità e della libertà di espressione”. Per questo l’Uaar chiede al Comune di Genova di intervenire per la revoca dell’incarico alla IGP Decaux.
«Intanto, i nostri legali stanno valutando la faccenda e a breve decideremo che cosa fare. - conclude Carcano - Mentre la campagna di sottoscrizione, che ha già raccolto 13 000 euro, continua».
Un solo, amaro commento: c'è veramente da vergognarsi ad essere italiani.
Uno Stato e tutti i suoi Cittadini sottoposti ogni giorno alle pressioni di una chiesa senza ormai alcun pudore, che è presente ogni giorno su radio e tv senza alcun contraddittorio, e che si erge ormai a giudice supremo di ciò che è vero e ciò che è permesso, non solo per i suoi credenti, ma per tutti.
VERGOGNA!
VERGOGNA due volte, perchè è di oggi la notizia che la Casa di Cura che doveva ospitare Eluana Englaro per porre fine ad un accanimento terapeudico non voluto ed eseguire una sentenza della Magistratura italiana, ha ovviamente rinunciato, piegata dalle minacce del ministro Sacconi e dei bigotti antidemocratici di ogni sigla e colore...
Invito tutti i cittadini moderni e democratici a sostenere l'UAAR e a firmare per l'otto per mille alla Chiesa Valdese, in modo da togliere risorse alla chiesa cattolica (firmando per l'otto per mille allo allo Stato... con questo stato... probabilmente il Vaticano riuscirebbe a metterci le mani sopra).

martedì 13 gennaio 2009

Finalmente: grazie all'UAAR un po' di laicità in giro per l'Italia

Leggo con grande soddisfazione, su La Repubblica di oggi, un articolo di Rita Celi: "Spot sull'ateismo, anche a Genova i busche promuovono l'inesistenza di dio. Dopo Londra, Washington e Barcellona dal 4 febbraio nella città liguredue mezzi pubblici diffonderanno il messaggio lanciato dall'Unione atei". Ne riporto il testo con grande soddisfazione, perchè, finalmente in questo Paese, gli atei riescono a dimostrare che non c'è solo la chiesa, che non tutti condividono le continue ingerenze delle gerarchie vaticane, che una reazione è possibile, che c'è chi sente bisogno di laicità.
"LA CATTIVA notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno". E' questa la versione italiana della campagna a favore dell'ateismo che dal 4 febbraio tappezzerà due autobus pubblici a Genova. Ma sarà solo l'inizio.
O forse la fine di questa promozione dell'incredulità, a giudicare dalle animate polemiche e controffensive religiose seguite alla stessa iniziativa sui bus di Londra, in Spagna, a Washington e anche in Australia, dove è stata bloccata prima ancora di apparire per le strade. Non a caso l'apertura della campagna lanciata dall'Unione atei e agnostici razionalisti (Uaar) partirà da Genova. "E' una specie di sfida atea in casa di Angelo Bagnasco, presidente della Cei" spiega Raffaele Carcano, segretario generale della Uaar.
"Dopo le polemiche sul gay pride di Genova, reo di essere stato fissato per il 13 giugno, giorno del Corpus Domini, e dopo le parole di Bagnasco per ostacolare lo svolgimento della manifestazione, dopo le frequenti uscite del cardinale in materia di scienza, diritti, riproduzione, l'Uaar ha deciso di riprendersi un po' di par condicio. E di fare pubblicità all'incredulità".
Ricorrere agli spot scegliendo di mandare messaggi come se si trattasse di una nuova auto o di un detersivo dà l'idea delle condizioni degli atei costretti a riaffermare la propria presenza di fronte alla pervasività della presenza cattolica. "
La chiesa ha e deve continuare ad avere libertà di parola" prosegue Carcano. "Purché vi sia adeguato spazio anche per chi cattolico non è. Pagando questa campagna pubblicitaria l'Uaar intende riconquistare all'incredulità un po' di quella par condicio che i mass media stentano a riconoscerle", con un messaggio "che vuole invitare a riflettere, con l'aggiunta di un pizzico di fiducia e ottimismo in chiave umanista".
L'idea dei bus atei è stata della British Humanist Association e il successo è stato tale che è stata poi ripresa negli Stati Uniti, in Australia, in Spagna. Come già accaduto all'estero, anche gli atei italiani hanno lanciato una campagna per raccogliere i fondi necessari per estendere l'iniziativa con altri mezzi e in altre città. Reazioni permettendo.
"Non abbiamo idea di cosa ci aspetta perché è sempre difficile fare previsioni" prosegue Carcano. "Per fare un esempio nel mondo dell'editoria, la chiesa non critica i libri di Augias o di Maltese quando escono ma solo quando se ne comincia a parlare, allora si scatenano, come hanno fatto anche con Dan Brown.
Anche noi avremmo potuto lanciare la nostra campagna partendo da Roma, ma abbiamo preferito evitare di fare del facile vittimismo".L'Unione degli atei italiani è quindi pronta e anche curiosa di vedere che tipo di reazioni ci saranno.
"Vedremo cosa succederà nella laica Genova quando gireranno per la città mezzi pubblici che, al posto delle solite pubblicità, incoraggeranno a vivere senza il conforto della fede". Intanto la campagna sull'inesistenza di dio si diffonde nelle metropoli non solo europee.
In Spagna - da oggi a Barcellona, presto a Madrid e Valencia, poi anche a Saragozza, Siviglia e Bilbao - lo slogan è stato tradotto da quello inglese: "There's probably no god. Now stop worrying and enjoy your life" (Probabilmente dio non esiste. Smettila di preoccuparti e goditi la vita).
Il messaggio scelto dalla American Humanist Association per i bus di Washington è "Why believe in a god? Just be good for goodness' sake" (Perché credere in dio? Sii buono per amore della bontà).
In Australia lo slogan creato suona come "gli atei dormono la domenica mattina".
Nella cattolica Spagna i fondi sono stati raccolti dall'Unione atei e liberi pensatori (Ual) attraverso il sito busateo.org ma, mentre a Barcellona la campagna è partita oggi, a Madrid l'associazione degli atei (Amal) sta ancora negoziando l'affitto dello spazio pubblicitario su due autobus urbani con l'impresa di trasporti locale.
A Londra l'iniziativa degli atei britannici ha raccolto donazioni che hanno ampiamente superato le aspettative al punto che la campagna sarà estesa in tutto il territorio nazionale su bus e metropolitane.
Intanto Christian Voice, un'associazione cristiana, ha fatto pervenire una protesta ufficiale alla Advertising Standards Authority (Asa), sostenendo che la campagna viola le leggi sulla veridicità degli slogan perché il messaggio viene "presentato come un dato di fatto e ciò significa che, per non trasgredire le regole, dev'essere provato". L'associazione degli umanisti britannici non si è lasciata intimidire dalla lamentela e la sua direttrice, Hanne Stinson, ha dichiarato: "Mi dispiacerebbe per l'Asa, se venisse richiesto all'autorità di pronunciarsi sull'esistenza di Dio. Se comunque decidessero di aprire un'inchiesta, siamo disposti a collaborare".
Il sito dell'UAAR è: http://www.uaar.it

mercoledì 7 gennaio 2009

Alcool: le solite "grida manzoniane" del nostro governo

Il Presidente della commissione Trasporti della Camera, Mario Valducci (in foto), ha formulato una proposta di legge tesa a diminuire la concentrazione di alcol nel sangue consentita dalla legge dagli 0,5 attuali a 0,2 g/litro.
In una recente intervista ad omnimoto.it si è detto favorevole a quella proposta anche Antonio Tajani, Commissario ai Trasporti dell’Unione Europea (di nomina PDL, ovviamente): "...non si tratta di impedire al cittadino di bersi una grappa o due bicchieri di vino quando va a cena con gli amici o a un ragazzo che va in discoteca di impedirgli di bere due bicchieri di whisky. Noi vogliamo impedire che chi beve due bicchieri di whisky, liberissimo di farlo, non si metta alla guida della macchina. Questo chiediamo soltanto. Questo è l'obiettivo, nessuno vuole impedire il divertimento. Vogliamo soltanto impedire la morte. E se si va in comitiva, a turno chi porta la macchina o porta la moto non beve. La settimana successiva quando si ritorna in discoteca, quello che ha bevuto la volta precedente non berrà e farà bere l'altro."
Come al solito i nostri politici giocano a pulirsi la coscienza e a fare i duri e puri con il classico sistema delle grida manzoniane.
Poco importa se chi è veramente ubriaco sia già ben al di sopra (anche di due, tre volte) degli attuali limiti.
Poco importa se per ridurre gli incidenti occorra il controllo dei comportamenti e delle strade.
Come al solito, come peraltro con gli autovelox, si va a stabilire una spada di Damocle sulle persone normali che, per un bicchiere di vino a pasto o per aver fatto i 65 all'ora a cento metri dal cartello di inizio località in una giornata senza traffico, si vedranno decurtate le patenti ed i portafogli di punti e soldi, mentre i veri guidatori pericolosi, quelli ubriachi o drogati, o gli incoscienti da 200 chilometri all'ora, continueranno a rischiare esattamente come ora, visto che di pattuglie delle FF.OO. per la strada ce ne sono sempre di meno.
Come al solito, questo Governo si dimostra ancora una volta l'esecutivo degli spot, del predicare bene e razzolare male, nella splendida tradizione del bigottismo di una inesistente destra italiota.
Bleah

lunedì 5 gennaio 2009

La galaverna: una moto rossa su uno sfondo bianco...

Oggi pomeriggio ho tirato fuori la Stelvio per scaldarle un po' i pistoni con un giretto fino al mare: la temperatura era di -2° in città e -3° fuori... 
Galaverna su piante, erba, tetti, nebbia ghiacciata e strade bianche non appena si usciva dalla traiettoria... (cavolo, mi sono dimenticato di prendere con me la macchina fotografica ed ho dovuto usare il telefonino)... 
...ma secondo voi, perchè quelli in macchina mi guardavano strano???? 






Gattostanco, 5 gennaio 2009

sabato 3 gennaio 2009

Quando si nega il diritto di morire

Ieri su La Repubblica è stato pubblicato un coraggioso ed ottimo articolo scritto da due genetisti, Luca e Francesco Cavalli-Sforza. Lo pubblico integralmente, perchè ne condivido pienamente l'analisi (i grassetti, nel testo, li ho messi io...).
Il caso Englaro e la necessità di una legge sul testamento biologico
Quando si nega il diritto di morire
SE uno di noi volesse negare a un altro il diritto di vivere (a una donna di partorire, per esempio, o a chiunque di esistere), tutti insorgeremmo, si spera, e cercheremmo, potendo, di impedirglielo. Tant'è vero che in Italia e in Europa non ammettiamo la pena di morte.
Ma se qualcuno rivendica il diritto di morire, glielo si nega, anzi si va a qualunque estremo per rifiutarglielo.
Il caso di Eluana Englaro ci getta in faccia con evidenza macroscopica, anzi spaventosa, questo dato di fatto. Perché una persona non dovrebbe avere il diritto di morire?
Che la persona sia vecchia e malata, tormentata da sofferenze insopportabili, o che sia giovane e sana, nel pieno delle sue forze: anche se avesse ogni ragione di vivere la vita, ma decidesse invece di togliersela, e qualunque fosse il motivo del suo gesto, che diritto avremmo di negarglielo?
Privare se stessi della vita è una follia, d'accordissimo. Ci ripugnerà, non c'è dubbio. Sarà come minimo doveroso fare tutto il possibile per evitare che una persona commetta questa pazzia, darle un supporto che la possa aiutare a scoprire un senso nella vita. Ma se ha deciso di farla finita, con quale autorità glielo si può impedire?
In Italia, ci informa l'ISTAT, 2867 persone si sono uccise nel 2007: quasi 5 persone per ogni centomila abitanti. La vita è l'unico bene che abbiamo, la fonte di ogni altro bene: chi se la toglie lo fa di solito per disperazione o dolore o infelicità intollerabili, perché non sopporta più di vivere. Che sia la rovina economica a portare al suicidio, o il peso delle proprie azioni sbagliate, o un ricatto esterno, o la vergogna, o la semplice alienazione, perché con nulla e nessuno nella vita riusciamo a interagire, o qualunque altro sia il motivo, chi si suicida ha le sue ragioni per farlo, e ciascuna di queste è una sconfitta.
In passato però, e per secoli, ci si è suicidati anche solo per onore (una tradizione che in Giappone è ancora viva). I suicidi imposti da tiranni, come quello di Seneca, non sono stati visti come sconfitte, ma come affermazioni di libertà interiore anche davanti alla morte. Libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta, dice Virgilio presentando Dante.Che il suicidio sia una cosa terribile è un'affermazione che ci trova tutti d'accordo: siano più o meno felici o infelici, circa 99.995 italiani su 100.000 non si privano del proprio bene fondamentale. Ma cosa ci dà il diritto di vietare ad un altro di togliersi la vita, al punto di considerare il suicidio un reato?
Se la persona in piena lucidità è determinata a porre termine ai suoi giorni, chi siamo noi per negarle la possibilità di farlo?
Cosa sappiamo della vita e della morte?
Cosa ci autorizza a rifiutare il diritto di disporre della propria morte, mentre riconosciamo il diritto di indirizzare la propria vita?
Chi è religioso invocherà la volontà di Dio, che avrebbe creato l'individuo, ma perché mai questa convinzione dovrebbe valere per chi non vede da nessuna parte la presenza di un Dio?
Che ogni individuo sia libero e responsabile delle proprie azioni: così vogliamo le nostre società. Se lo Stato o la Chiesa o la famiglia o chicchessia pensa di avere qualcosa da dare o da rivendicare, che lo faccia: parli con la persona, dia una mano se può. Ma se non può, o non ne è capace, o quanto fa non serve, che rispetti la scelta dell'aspirante suicida.
Negare la libertà di morire è ridicolo per due ragioni: intanto perché chi vuole suicidarsi prima o poi ci riuscirà, se non è stretto in una camicia di forza o reso incosciente dai farmaci (e, beninteso, ci sono situazioni che lo esigono). Ma nessuno in definitiva può impedirgli di uccidersi, una volta tornato a casa.
Seconda ragione: la nostra morte è certa, già che siamo vivi, anzi è forse l'unica certezza universalmente riconosciuta. Perché mai una persona nel pieno delle proprie facoltà mentali non dovrebbe essere libera di decidere il tempo e il modo della propria morte, anziché affidarli alla natura e al caso?
Chi nasce è comunque destinato a morire. Una società che voglia dirsi civile non può negare ai suoi membri il diritto di decidere della propria morte.
Il testamento biologico, norma di elementare rispetto della libera volontà dell'individuo, è tabù da noi in sede legislativa.
I tentativi di portarlo all'attenzione sono ricacciati come polvere sotto il tappeto. L'idea che una persona possa disporre le condizioni della propria morte, in determinate circostanze - per esempio, se si ritroverà in coma vegetativo permanente - è così controversa da terrorizzare i politici.
Eppure, né i politici, né gli ecclesiastici, né i medici, né nessuno probabilmente, sa che cosa accade o non accade in quello spazio intermedio fra la vita e la morte che è il coma. Nessuno sa se rimanga qualcosa di ciò che consideriamo il nostro io o che chiamiamo "coscienza". Già che nessuno lo sa, perché la scelta non dovrebbe spettare al diretto interessato?
Nella vicenda di Eluana Englaro, in coma da quasi diciassette anni dopo averne vissuti ventidue, si è giunti allo scontro istituzionale, un po' come se la magistratura ordinasse la scarcerazione di un detenuto ma il potere esecutivo lo ricacciasse in cella. Eppure la ragazza, sconvolta dall'analoga sorte di un amico, aveva espresso con forza e con chiarezza ai genitori la sua volontà di non essere intubata, se qualcosa del genere fosse accaduto a lei.
In un Paese dove ogni giorno muoiono in media quattro lavoratori per incidenti sul lavoro, per lo più dovuti al mancato rispetto di norme di sicurezza che i governi non si preoccupano di fare osservare, quale sadismo senza nome può spingere il ministro a tenere in vita chi è prigioniero del proprio corpo e ha espresso, quando poteva, il desiderio di liberarsene? in nome di quale vita? certo non di quelle che si perdono ogni giorno nelle fabbriche e nei cantieri.
Perché il ministro del Lavoro e della Salute non esercita là la sua solerzia?
Bisognerebbe chiedere ai cittadini se il testamento biologico è ammissibile.
Può l'individuo decidere, in piena consapevolezza, quale deve essere la sua sorte se dovesse perdere coscienza per un tempo illimitato, o se non fosse più in grado di esprimere la propria volontà?
Può lasciare scritto: "Staccate i tubi"; oppure: "Tenetemi in vita comunque, finché possibile"; o ancora, poniamo: "Tenetemi in vita per sei mesi, poi lasciatemi morire"?
Non si può pretendere che i cittadini si esprimano per referendum su temi che richiedono competenze speciali, come l'ingegneria genetica o le strategie energetiche, ma a chi spetta, se non a loro, decidere se chi è nato è libero di scegliere la propria morte? E sperabile credere che vincerebbe il parere: "Io sono padrone della mia vita".
Se la Chiesa davvero crede nella libertà dell'uomo, perché non lascia le persone libere di morire? Nessuno ha chiesto la nostra opinione, prima di metterci al mondo: perché non dovremmo essere liberi di andarcene? Cercare la morte non è nella natura dell'uomo, né di alcun essere vivente: ma quanti hanno cercato la morte nelle guerre, e peggio ancora l'hanno data, magari con la benedizione della stessa Chiesa?
Se lo Stato invece ritiene che chi si uccide leda un diritto fondamentale e danneggi la comunità, privandola di se stesso, che si adoperi per creare le condizioni perché le persone non si gettino nella morte. Nessuno può credere che chi si suicida lo faccia volentieri.
Il discorso è lo stesso per un altro punto fermo della Chiesa Cattolica, il divieto di aborto profilattico. E questa una situazione molto più frequente dei coma e assai dolorosa per il malato che è costretto a nascere e per la sua famiglia. Qui non sappiamo certo che cosa pensi il soggetto in gestazione, al terzo mese di gravidanza. La Chiesa, comunque, estende il diritto alla vita alla cellula-ovo appena fecondata dallo spermatozoo, in cui subito verrebbe ad abitare un'anima.
Il grande teologo San Tommaso d'Aquino non avrebbe avuto problemi con l'aborto profilattico, perché diceva che l'anima entra nel corpo solo quando il feto ha assunto forma pienamente umana. Nel caso di Eluana, come in quello di tutti i futuri malati di gravi malattie genetiche la cui nascita può venire oggi evitata, la sofferenza dei parenti e i costi alla società sono molto gravi, ma vengono ignorati.
I genitori che fanno nascere coscientemente un bimbo gravemente e irrimediabilmente danneggiato si assumono doveri e pene tremende, e lo stesso ci sembra valere per i parenti di una persona in coma profondo, se, avendo tentato con ogni mezzo di riportarla in vita ed essendovi in qualche modo riusciti, se la ritrovassero con danni gravi e permanenti. In un certo senso sorprende, questo attaccamento della Chiesa alla vita, anche quando non sia che un barlume cui solo le macchine impediscono di spegnersi, perché in fondo la Chiesa promette al fedele un futuro ben più luminoso di questa vita.
Ma Chiesa o Stato che sia, chi può pronunciarsi o legiferare su ciò che non conosce?
E chi fra i vivi può sindacare sulla morte?
(2 gennaio 2009)